Referendum, per chi e per cosa?
Da giorni rifletto sul significato del voto su referendum confermativo riguardante il taglio dei parlamentari. Il Si non mi ha mai convinto, mi è sempre sembrata la risposta alla richiesta di una sforbiciata dal sapore elettoralistico. Manca una degna spiegazione e ancor di peggio non apre prospettive. Mi sentivo tendenzialmente vicino alle ragioni del No, anzi ancora meglio dentro tutte le sue motivazioni. Una passeggiata domenicale nella mia Enna desolatamente deserta mi ha messo in crisi e probabilmente mi porterà a non andare a votare. Per la mia terra voglio identità, prospettive, valorizzazione del territorio e di chi ci nasce; da sempre registro invece tutto il contrario a prescindere di chi ha le mani sui bottoni del potere. Mi limito a partire dal 1861, anno dell’unità d’Italia. Da quando a Garibaldi venne in mente di unire la penisola seduti comodamente negli scranni del parlamento italiano, noi siciliani, abbiamo avuto migliaia di rappresentanti che hanno ridefinito magistralmente le proprie posizioni personali svendendo presente e futuro dell’Isola. Con il primo parlamento i nostri rappresentanti s’inchinarono a Roma per mantenere prestigio e potere feudale intatto. Al nord soldi e politiche di sviluppo. Al Sud sfruttamento e repressione, tanta repressione. Ce lo ricorda il sicilianissimo Francesco Crispi, presidente del Consiglio dei ministri, che tutti onoriamo nell’Isola intitolandogli piazze e vie, ma nella storia, quella vera e non quella raccontata sui testi celebrati, fu il massacratore di tanti conterranei. Su di lui pende il giudizio della carneficina dei fasci siciliani. Su di lui, come su di altri, pende il giudizio della storia sul mancato sviluppo della Sicilia. Salto a piè pari il ventennio fascista perchè una forma di governo che annulla in toto la dignità della persona non mi va neppure di valutarla. Nel primo dopoguerra la Sicilia e il Sud vennero utilizzati come un magazzino di carne umana dove prelevare la manodopera da sfruttare nelle fabbriche del Nord e di altri Stati europei. E dire che in quegli anni siedevano comodamente alla Camera e al Senato numerosissimi parlamentari del Sud. Non solo ma nei governi centrali i nostri rappresentanti hanno sempre ricoperto ruoli di primo piano. Negli anni più vicini a noi è stato calato il carico da 11 con l’inizio della spoliazione dei territori. Il mercato è diventato vasto e al Nord non serviva più un Sud che consumasse, la produzione settentrionale può essere venduta in ogni angolo del mondo grazie alle distanze accorciate e alla grande vetrina virtuale che è il web. Per non dire di come il territorio è stato depredato, penso alle nostre zone industriali prese di mira solo per intascare contributi e non per dare ricchezza e lavoro ad una regione. E di fronte a tutti questi disastri i nostri rappresentati cosa hanno fatto se non accompagnare le scelte scellerate di Roma tutte volte a favorire gli industriali nordisti? Finalmente oggi qualche economista comincia ad uscire allo scoperto con i veri numeri dei bilanci della capitale e diventano note le ruberie perpetrare contro questo vituperato Sud. La domanda che mi pongo è semplice. Perchè mantenere un alto numero di rappresentanti se questi storicamente, nella generalità dei casi, hanno pensato a rappresentare solo se stessi, i loro partiti o i gruppi di potere a cui appartenevano? Non parlo di singoli casi ma di una storia che si ripete non da una legislatura ma da sempre. Quindi avere 77 parlamentari o 48 che rappresentano l’Isola fa lo stesso. Nel peggiore dei casi ci saranno meno commensali a tavola. Non sposo le ragioni del Si perchè un semplice taglio non offre una soluzione ma solo propaganda. Vorrei scrivere di rappresentanti impegnati a fermare i nostri giovani costretti ad andare via vogliosi di un onesto lavoro; vorrei rappresentanti pronti a trovare soluzioni per gli anziani costretti a vivere con pensioni da fame in centri dove manca anche un Pronto soccorso; vorrei rappresentati pronti a scommettersi sulla dignità che deve essere riconosciuta agli ultimi; vorrei rappresentanti impegnati nella valorizzazione vera del territorio. Purtroppo, con tutta la buona volontà che ho avuto in questi anni, non sono riuscito a trovare nell’impegno della nostra classe dirigente realizzazioni atte a rialzare a livello sociale ed economico le sorti delle nostre comunità. Stranamente le uniche sorti valororizzate sono state quelle degli eletti. Ebbene se questi sono i risultati vorrei capire la differenza di avere 77 parlamentari o 48? E mi sa che a pensarla così non sono solo io. La disaffezione verso il mondo politico è forte ed elezione dopo elezione il divario con l’elettorato diventa sempre più vasto ed incolmabile. C’è qualcosa che non va e la ricetta dei numeri è una falsa soluzione. Probabilmente sarò tacciato di qualunquismo, e forse lo sto diventando veramente qualinquista, ma mi sento preso in giro da un referendum che costa e non cambia nulla, che ha voglia di restringere solo i posti a tavola. Per il resto tutto come prima, sviluppo al Nord, emigrazione e povertà al Sud. Questa partita non mi piace e probabilmente non l’andrò neppure a vedere.
Paolo Di Marco