Incompiute. Cosa cambieresti del posto in cui vivi?
Cosa ferisce il tuo sguardo? Cosa c’è tra le cose che cambieresti nel posto in cui vivi? Cosa modificheresti per avere un’immagine migliore della tua città? Qualcosa che l’abitudine fa rientrare nelle varianti di normalità, ma che poi inquadri in un’altra prospettiva, con un’altra ottica se qualcuno, magari un amico che viene da fuori, un osservatore neutrale, te lo fa notare.
Scosso dal suo stupore, improvvisamente cosciente di un qualcosa di anomalo. Scheletri di cemento, palazzi abbozzati e abbandonati come per un effetto tsunami, velleitari ferri di prosecuzione, prospetti rifatti parzialmente . Anche a strisce trasversali a definire proprietà diverse.
A Enna alta e a Enna bassa. Motivi vari: non si ha più interesse a completare la costruzione, si attendono varianti al tema, si sono innescati contenziosi legali. Il precario che, dopo un po’, diventa definitivo e appare come parte della presenza di scena. Carcasse che trasmettono una sensazione di disagio. Non può certo essere consolante che ci siano esempi ben peggiori in alte realtà isolane. Il “come era possibile” è arrivato ad esempio subito alla mente quando una normalizzazione di un mammut ischeletrito nella città bassa è diventato un qualcosa di vivo. Parte trainante e vitale della città. Una gigantesca costruzione lego, dopo essere rimasta immodificata per anni, trasmettendo un effetto Beirut, è stata finalmente completata dando anima e corpo ad una parte della città in espansione. Non sarebbe giusto non permettere il precario definitivo?
Mario Rizzo